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martedì 27 novembre 2012

Loro parlano con i tacchini di Carlo Corda



     Abbiamo appena sentito a bellissima canzone “Memory” che ci ha un po’ allontanato dalla realtà facendoci sognare, e noi rientriamo nell'argomento principale della serata parlando del libro. E iniziamo dal titolo: “Loro parlano con i tacchini”.
È un titolo insolito e immediatamente fa pensare ad un romanzo umoristico. Chi infatti può pensare di parlare ad un tacchino se non un burlone, uno incline alla comicità o uno svitato? E, in parte è così perché certamente si tratta di persone che normali non sono.
Quando una persona viene colpita da un dolore tanto forte da essere quasi certo di non riuscire a superarlo, quando arriva sull'orlo dell’abisso definitivo dal quale poi non si riesce più ad emergere, subentra in lei una trasformazione.
Questa trasformazione può portarla ad uno stato di esaltazione tale da fargli compere atti di follia imprevedibili e fuori dal comune oppure ad uno stato di autodifesa. E in questo secondo caso la mente  si sofferma su altre cose, forse più semplici, si addentra in particolari per gli altri inconcludenti, si attarda su minuscoli episodi che agli occhi dei più sono del tutto irrilevanti, vaga con il pensiero fuggendo da una parte e dall'altra cercando qualche punto fermo su cui appigliarsi, ode suoni diversi da quelli che sentono gli altri, parla in modo differente e si rivolge anche a chi non può né capirla né rispondere, come appunto i tacchini. Cerca insomma di sopravvivere ad uno stato di cose che altrimenti lo porterebbe all'annientamento facendolo precipitare in un profondo e misterioso buio.
Meglio però di questa mia descrizione lo spiegano le parole del libro.
 “Mi tornò alla memoria quello che, anni prima, mi disse un giovane, anche lui ricoverato nell'istituto psichiatrico del continente dove ero stato trasferito provenendo dalla Sardegna: "L’esperienza mi ha insegnato che ci sono due tipi di follia, c’e quella caratterizzata da uno stato di demenza totale e, in questo caso, chi ne è affetto è un infelice e ha il destino segnato. Ma c’è anche l’altra follia, quella nostra, che è diretta  conseguenza delle circostanze della vita, e che lascia sempre aperto un varco alla speranza. Non ti umilia, non ti deteriora nel corpo, non ti toglie la capacità di amare, di pensare, di sognare, di fare progetti, anzi, ti fa sviluppare abilità delle quali non avevi consapevolezza. Noi matti riusciamo a vedere nel buio e attraversiamo la strada a occhi chiusi, noi dialoghiamo con gli uccelli, noi parliamo coi tacchini, noi sappiamo scrivere poesie, noi abbiamo la ferocia del leone e la tenerezza della madre verso il figlio appena nato. Niente ci è precluso, noi  matti possiamo tutto”.
Quindi abbiamo appurato che non si tratta di un romanzo umoristico. Al contrario il libro assomma una serie di sentimenti gravi e solenni come quello della morte, della malattia, della follia.  Ma non si deve nemmeno pensare che il libro sia una specie di trattato sulla malattia che porta gli essere umani a diventare matti o che si esaurisca nella disamina di disturbi mentali. 
 Si. È vero. Nel titolo vi è racchiuso in estrema sintesi tutto il romanzo: si tratta di episodi che riguardano loro, i matti, ma quelli che però sognano, fanno progetti, dialogano con gli uccelli, amano.
Il libro, infatti, è il racconto semplice e affascinante di un medico che dopo fatte le sue prime esperienze da laureando e appena laureato incomincia la trafila della sua vita con il percorso accidentato che la professione gli riserva fino ad arrivare alle soglie della maturità. E in tutto questo periodo vi sono una serie di episodi riferiti a lui direttamente ma anche ad altre persone che hanno a che fare con quel dolore che è causa della follia .
E il libro racconta questi episodi non con la pesantezza della tragedia senza rimedio, ma con la serenità che  da la consapevolezza dell’incombere su tutti noi di possibili tragici eventi e del loro necessario superamento proprio per non cessare di esistere. Anzi, sapendo che quando le persone si trovano in quello stato vi è sempre qualcuno dall'alto che le guarda.
Nell'esaminare il romanzo e nel parlare di questo  non ci interessa sapere che le vicissitudini capitate a Efisio sono fatti veri e riferibili a persone in carne ed ossa. Questa può essere una curiosità alla quale l’autore del libro se vuole potrà dare risposta, ma a noi interessa lo scorrere del romanzo al di là della sua aderenza alla realtà.
Le avventure in esso contenute ci avvincono con il loro drammatico svolgersi. I personaggi sono tanti e diversi l’uno dall'altro legati insieme da un destino che li ha accomunati in un percorso doloroso e che dopo una serie di episodi, nella parte finale, ci porta a fare il tifo per Elisa malata di cancro e per come  affronta la sua terribile realtà.
Abbiamo seguito con apprensione le sorti di Elisa come se si trattasse di un nostro familiare e ne condividessimo le angosce e i patimenti. Il romanzo ci prende la mano, ci coinvolge emotivamente, ci lascia con il fiato sospeso al momento delle sue risoluzioni, ci fa partecipare al dolore della famiglia.
Questo significa che lo scrivere di Carlo Corda è incisivo, non lascia spazio a facili sentimentalismi o a patetiche malinconie. Da un certo punto di vista è scientificamente spietato, ma lo scrittore c’è. Chi ha scritto questo libro non è solamente un uomo che ha messo sulle pagine il proprio diario di vita vissuta, ma è uno scrittore che ha scritto un libro di cui ricorderemo per sempre le vicende. Grazie a tutti.
Paolo Maccioni



mercoledì 18 luglio 2012

Il pettine senza denti


Il pettine senza denti


Gentili signore e signori grazie della vostra presenza. Ringrazio la Biblioteca di Quartu e di Flumini che, come al solito ci da una mano sia nel permetterci queste serate nel suoi locali, sia nell’aiutarci per l’organizzazione delle stesse.
Il libro che presentiamo questa sera è intitolato “Il pettine senza denti”e il suo autore è un giovane che scrive con il pseudonimo di Eugenio Campus ma il suo vero nome è Sergio Casu.

Non mi dilungo nel leggervi la sua ancora breve biografia che trovate comunque sul suo sito internet.

Oltre che scrittore e editore, sua è infatti la casa editrice Applidea, scopriamo che Sergio Casu è anche fotografo ed ha al suo attivo una mostra tenutasi nel 2009 alla Vetreria di Monserrato dal titolo “L’Africa non è così nera”, nonché organizzatore di eventi come il concorso "Parole in corsa 2009 - scrivi e scatta".

Il pettine senza denti è stato pubblicato nel 2008, da Applidea ed è il secondo romanzo pubblicato dopo “ Anima mediterranea”.

Il romanzo Il pettine senza denti ha avuto grande ripercussione in tutta Italia e, tra l’altro, è stato presentato a Milano alla libreria Feltrinelli da Franca Rame alla presenza di scienziati e personaggi importanti che si occupano dei problemi denunciati nel libro. E anche in Sardegna sono numerosissime le presentazioni di rilievo che il libro ha avuto,  diffuso tra l’altro in quasi tutte le biblioteche dell’Isola.
Ringrazio perciò l’autore per essere oggi presente a Flumini per parlarci del suo libro.
Prima di dargli la parola vorrei dire che un romanzo come questo, col suo carico di intrighi internazionali, ambientati in un clima mediterraneo come quello della Sardegna paragonabile per suggestione di immagini ad un’isola tropicale del Sud America o giù di lì, ebbene, se fosse frutto di uno scrittore americano, o anche semplicemente supportato da una delle nostre poche case Editrici Italiane che assorbono la maggior parte del mercato letterario italiano, ne avrebbero fatto un best seller da milioni di copie vendute in tutto il mondo con relativo seguito di film e documentari.
Ma siamo in Sardegna, culturalmente ignorati o quasi dalla stampa nazionale, estremizzati e non competitivi nei confronti del resto della popolazione letteraria italiana.

A questo proposito se mi permettete vorrei aprire una parentesi per  dire che quando uno scrittore sardo si afferma è perché è nuovo, come Niffoi o Michela Murgia e stupisce. Cioè allo scrittore sardo perché si  affermi in campo nazionale e oltre si richiede di più che agli altri, deve essere assolutamente eccezionale nel senso letterale del termine che cioè deve fare eccezione alla regola e quindi deve per forza farsi notare, deve stupire. Ricordate Gavino Ledda con il suo padre e padrone?
Invece i nostri scrittori sono tanti e tra questi ve ne sono di bravissimi. Scrittori che,  oltre che autori, curano l’editing del loro libro con l’aiuto quasi esclusivo della moglie o la madre o la sorella, e senza nessuna scuola,  nessuna casa editrice a consigliare o indirizzare e non devono mai ringraziare  nessuno ( guardate la sfilza di ringraziamenti in quasi tutte le opere di autori affermati) perché nessuno ha fatto niente per loro. Lavorano isolati. Devono cercarsi a fatica  un editore che pubblichi il loro lavoro talvolta pagando a caro prezzo la loro voglia di esprimersi quando addirittura non sono costretti a diventano editori di se stessi.

Perciò doppio merito ad un libro come questo che si impone all’attenzione della critica nazionale.

Chiusa questa parentesi voglio dedicare solo due parole alla trama e al contenuto del romanzo.

Il libro inizia con una introduzione su Violante Carroz.  Sappiamo  chi era questa potentissima donna che intorno al 1500 era padrona di mezza Sardegna, se non altro perché al suo casato è intitolata una via di Cagliari.
Ma a noi interessa solo l’ultima parte della sua vita, quella che la vede pretendere dal parroco di Quirra l’annullamento del suo ultimo matrimonio per potersi risposare, con Berengario. Al suo rifiuto e al successivo tentativo di mercanteggiamento, Violante fa uccidere il parroco.
Leggendo queste realtà storiche viene da pensare, con una certa rabbia, a quanta prepotenza e quanto potere erano detenuti nelle mani della nobiltà di allora, tanto da ritenersi superiori a tutti, persino a Dio.  Potere che avrebbe potuto essere esercitato anche un pochino per il bene comune della Sardegna, ma che invece, almeno a mia conoscenza, è stato solo utilizzato per svolgere nel modo più vessatorio possibile la loro funzione di esattori, chiusi nelle loro piccole o grandi corti a intessere trame dinastiche ad uso e consumo dei loro personali interessi.

Andando avanti nella lettura del libro, notiamo altre figure di donne. Tra queste suscita curiosità quella dell’accabadora, che la maggior parte di noi ha imparato a conoscere dal libro di Michela Murgia, intitolato, appunto L’Accabadora.  Ma i tratti salienti della sua figura e della sua attività poco edificante, come possiamo ora constatare, erano stati già tracciati da Casu nelle pagine di questo libro, in cui la sua figura è rappresentata con molte sfaccettature di verità e di leggenda.

Dopo esserci ambientati nella conoscenza del romanzo, che si svolge in tre strati di tempo, assimiliamo le avventure dei personaggi principali e nel momento in cui ci si immedesima negli avvenimenti raccontati dall’autore, risaltano le loro personalità,  ed è in questa fase che specialmente la figura di Stefanina  esplode e permea di se stessa tutto il resto del romanzo, perché la sua figura di donna, con le sue angosce, le sue titubanze, la sua voglia, la sua intelligenza, la sua carica di umanità la sua curiosità, è la figura di spicco che è stata descritta dall’autore non solo con il cervello e l’abilità del linguaggio ma soprattutto con il cuore. E il lettore lo capisce.

L’altra chiave di lettura del libro, che forse è quello al quale l’autore vuole dare più risalto, è l’inizio di una indagine a tutto campo e una denuncia per crimini contro l’umanità che, il più delle volte si fanno contro ignoti, in questo caso ignoti non sono perché di essi si conoscono nomi e cognomi in quanto il criminale è nientemeno che il nostro Stato, la nostra forza armata, il nostro ministero della difesa, il nostro apparato burocratico compresi SISMI, servizi segreti e via dicendo. E il crimine commesso è quello di aver lasciato ammorbare il territorio di Quirra per pure speculazioni economiche impronunciabili provocando conseguenze terribili come malattia e morte dei suoi abitanti.
Spiaggia di Quirra sottratta al turismo a causa degli esperimenti militari
Il libro di Casu, o Campus, come preferite tratta un argomento che meriterebbe da parte della collettività sarda una attenzione ben maggiore di quella che  ha.  Se è vero quanto descritto, e l’autore ce lo racconterà nel dettaglio, ci sono tutti gli estremi perché la popolazione sarda si sollevi con una sola voce per chiedere a tutto campo il massimo del risarcimento non soltanto per i danni subiti, ma anche per quelli che potranno insorgere nel futuro a causa di quelle scellerate speculazioni nazionali esercitate all’insaputa e sulle spalle di tutti noi sardi che viviamo in questa isola bistrattata e considerata ancora dal potere come terra di conquista. 
Paolo Maccioni