Abbiamo appena sentito
a bellissima canzone “Memory” che ci ha un po’ allontanato dalla realtà
facendoci sognare, e noi rientriamo nell'argomento principale della serata
parlando del libro. E iniziamo dal titolo: “Loro parlano con i tacchini”.
È un titolo insolito e
immediatamente fa pensare ad un romanzo umoristico. Chi infatti può pensare di
parlare ad un tacchino se non un burlone, uno incline alla comicità o uno
svitato? E, in parte è così perché certamente si tratta di persone che normali
non sono.
Quando una persona
viene colpita da un dolore tanto forte da essere quasi certo di non riuscire a
superarlo, quando arriva sull'orlo dell’abisso definitivo dal quale poi non si
riesce più ad emergere, subentra in lei una trasformazione.
Questa trasformazione
può portarla ad uno stato di esaltazione tale da fargli compere atti di follia
imprevedibili e fuori dal comune oppure ad uno stato di autodifesa. E in questo
secondo caso la mente si sofferma su
altre cose, forse più semplici, si addentra in particolari per gli altri
inconcludenti, si attarda su minuscoli episodi che agli occhi dei più sono del
tutto irrilevanti, vaga con il pensiero fuggendo da una parte e dall'altra cercando qualche punto fermo su cui appigliarsi, ode suoni diversi da quelli
che sentono gli altri, parla in modo differente e si rivolge anche a chi non
può né capirla né rispondere, come appunto i tacchini. Cerca insomma di
sopravvivere ad uno stato di cose che altrimenti lo porterebbe all'annientamento facendolo precipitare in un profondo e misterioso buio.
Meglio però di questa
mia descrizione lo spiegano le parole del libro.
“Mi tornò alla memoria quello che, anni prima,
mi disse un giovane, anche lui ricoverato nell'istituto psichiatrico del
continente dove ero stato trasferito provenendo dalla Sardegna:
"L’esperienza mi ha insegnato che ci sono due tipi di follia, c’e quella
caratterizzata da uno stato di demenza totale e, in questo caso, chi ne è
affetto è un infelice e ha il destino segnato. Ma c’è anche l’altra follia, quella
nostra, che è diretta conseguenza delle
circostanze della vita, e che lascia sempre aperto un varco alla speranza. Non
ti umilia, non ti deteriora nel corpo, non ti toglie la capacità di amare, di
pensare, di sognare, di fare progetti, anzi, ti fa sviluppare abilità delle
quali non avevi consapevolezza. Noi matti riusciamo a vedere nel buio e
attraversiamo la strada a occhi chiusi, noi dialoghiamo con gli uccelli, noi
parliamo coi tacchini, noi sappiamo scrivere poesie, noi abbiamo la ferocia del
leone e la tenerezza della madre verso il figlio appena nato. Niente ci è
precluso, noi matti possiamo tutto”.
Quindi abbiamo appurato
che non si tratta di un romanzo umoristico. Al contrario il libro assomma una
serie di sentimenti gravi e solenni come quello della morte, della malattia,
della follia. Ma non si deve nemmeno
pensare che il libro sia una specie di trattato sulla malattia che porta gli
essere umani a diventare matti o che si esaurisca nella disamina di disturbi
mentali.
Si. È vero. Nel titolo vi è racchiuso in
estrema sintesi tutto il romanzo: si tratta di episodi che riguardano loro, i
matti, ma quelli che però sognano, fanno progetti, dialogano con gli uccelli,
amano.
Il libro, infatti, è il
racconto semplice e affascinante di un medico che dopo fatte le sue prime
esperienze da laureando e appena laureato incomincia la trafila della sua vita
con il percorso accidentato che la professione gli riserva fino ad arrivare
alle soglie della maturità. E in tutto questo periodo vi sono una serie di episodi
riferiti a lui direttamente ma anche ad altre persone che hanno a che fare con
quel dolore che è causa della follia .
E il libro racconta
questi episodi non con la pesantezza della tragedia senza rimedio, ma con la
serenità che da la consapevolezza dell’incombere
su tutti noi di possibili tragici eventi e del loro necessario superamento
proprio per non cessare di esistere. Anzi, sapendo che quando le persone si
trovano in quello stato vi è sempre qualcuno dall'alto che le guarda.
Nell'esaminare il romanzo
e nel parlare di questo non ci interessa
sapere che le vicissitudini capitate a Efisio sono fatti veri e riferibili a
persone in carne ed ossa. Questa può essere una curiosità alla quale l’autore
del libro se vuole potrà dare risposta, ma a noi interessa lo scorrere del
romanzo al di là della sua aderenza alla realtà.
Le avventure in esso
contenute ci avvincono con il loro drammatico svolgersi. I personaggi sono
tanti e diversi l’uno dall'altro legati insieme da un destino che li ha
accomunati in un percorso doloroso e che dopo una serie di episodi, nella parte
finale, ci porta a fare il tifo per Elisa malata di cancro e per come affronta la sua terribile realtà.
Abbiamo seguito con
apprensione le sorti di Elisa come se si trattasse di un nostro familiare e ne
condividessimo le angosce e i patimenti. Il romanzo ci prende la mano, ci
coinvolge emotivamente, ci lascia con il fiato sospeso al momento delle sue
risoluzioni, ci fa partecipare al dolore della famiglia.
Questo significa che lo
scrivere di Carlo Corda è incisivo, non lascia spazio a facili sentimentalismi
o a patetiche malinconie. Da un certo punto di vista è scientificamente
spietato, ma lo scrittore c’è. Chi ha scritto questo libro non è solamente un
uomo che ha messo sulle pagine il proprio diario di vita vissuta, ma è uno
scrittore che ha scritto un libro di cui ricorderemo per sempre le vicende.
Grazie a tutti.
Paolo Maccioni
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