Mara non gioca a dadi è una storia
semplice e collaudata da tanti film e libri che più o meno raccontano avventure
di mafia, di donne e di ispettori di polizia.
In questo caso la protagonista femminile è
Mara che da sola riesce a sgominare una intera banda di criminali che avevano
l’ambizione di dominare una città senza farsi notare troppo per eludere in tal
modo le pressioni delle locali forze dell’ordine.
Il racconto sembra fatto a misura di
qualche regista che voglia farne una serie televisiva. Vi sono infatti
tutti gli elementi che possono interessare gli abituali amatori di quel genere
di film: vi è l’eroina con la sua storia d’amore, vi è l’ispettore di
polizia mezzo filosofo con la moglie che gli consente di
abbandonarsi al calore dei piaceri casalinghi, vi è il suo consulente buddista, vi è
la polizia con la sua immancabile talpa dentro l’apparato, vi è infine la
mafia con i suoi giochi di potere, con il suo linguaggio crudo, le male femmine
e tutto l’apparato che milioni di spettatori conoscono e continuano a
richiedere alle fiction televisive di tutto il mondo e che si presta ad una
tale vastità di ramificazioni avventurose da poter continuare
all’infinito.
L’autore ha scelto di chiudere l’argomento
con un finale dolce che accontenta tutti, ma potrebbe riaprire l’argomento in
ogni momento e ad ogni esigenza. Le occasioni sono infatti molteplici e
l’inventiva dell’autore è tale che non gli sarebbe assolutamente difficile.
In definitiva il libro è leggero, si legge
in un battibaleno perché il lettore si lascia prendere dal gusto della
trama e cerca di scoprire velocemente come andrà a finire, un po’ come
succede nei fumetti. Il racconto, infatti, scivola senza sbavature e senza
particolari eccessi che possano influenzare la credibilità degli episodi. E questo sembra in effetti essere l'interesse precipuo che l’autore richieda al lettore anche se in
qualche caso, come nella spiegazione del titolo, in cui il riferimento è la
disquisizione intellettuale tra filosofi sulla casualità dei fenomeni
per cui Dio gioca a dadi oppure no, potrebbe sembrare che vi siano
diverse e più profonde esigenze. Ma sono solo pochi lampi che, semmai, indicano
il substrato culturale di Modica e fanno eccezione alla regola. Il libro è
perciò assolutamente consigliabile a chi non voglia dedicarsi a pensare troppo
a quello che legge ed è da annoverarsi, ammesso che i libri possano
etichettarsi come qualunque altra merce, tra i cosiddetti libri d’evasione. E
in questa categoria Luciano Modica può collocarsi a buon diritto tra quegli
scrittori che riescono a catturare l’attenzione del lettore riuscendo
soprattutto a tenerla desta fino alla fine del libro. E non è poca cosa. Paolo Maccioni
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